Con Vino rosso tacco 12 (edito da Il Cairo), Adua Villa ha regalato alla letteratura italiana il primo vero e proprio romanzo enologico. Leggi l’intervista che le abbiamo fatto qualche mese fa.
– Nel tuo libro Vino rosso tacco 12 Gilda è solita paragonare i suoi “amori” a delle etichette, più o meno pregiate. Se tu dovessi descriverti con un vino, quale sceglieresti?
Come Gilda, che li paragona e sceglie in base all’umore, alla situazione, al luogo, alla stagione, anch’io non ho un Assoluto nel quale paragonarmi a 360 gradi, (ed è questa la bellezza del mondo del vino, no?). Sicuramente ho una preferenza per le bolle: italiane e francesi che siano metodo classico o charmat, che siano dal ritorno dell’ancestrale, a quelle col fondo, la bolla mi intriga in assoluto.
– Vino rosso tacco 12 non è il tuo primo libro. Per Sonzogno hai pubblicato anche Una sommelier per amica. Come ti trovi nei panni della scrittrice?
È bellissimo! Ad oggi ho pubblicato 6 libri fra Cairo e Sonzogno, gli altri a quattro mani parlando per lo più del mondo degli abbinamenti. Con “Vino Rosso Tacco 12” ho intrapreso un cammino diverso visto che è quello del genere “romanzo”, e adesso sto già lavorando ad un altro libro, sempre un romanzo ma molto lontano dai precedenti.
– Quanto c’è di Adua in Gilda? Sei anche tu una fashion victim come lei?
Lei porta sempre scarpe dai tacchi altissimi, io mi limito a comprarli poi non li indosso quasi mai. La moda piace molto anche a me (come a tutte le donne credo, alle italiane poi, inutile sottolinearlo) ma mi diverto a mettere insieme cose vintage e gusto personale. Adoro comunque gli anni ’70 e spesso prendo ispirazione da lì, soprattutto per quanto riguarda gli accessori.
– Nella quarta di copertina Gilda dice “Amo la musica, sono sensibile alla moda e ai fotogrammi del mondo. Ma il mio vero, grande amore, lo confesso, è lui, il vino». Questa definizione rispecchia un po’ anche te? Da dove nasce il tuo amore per il vino?
Nasce in Sud America dove sono nata e vissuta prima di trasferirmi in Italia.
Il primo vino che mi fece assaggiare mio padre fu un Cabernet cileno.
– Quali sono secondo te le doti necessarie per fare il sommelier?
Te ne potrei dire tante dal punto di vista tecnico, ma preferisco dire la curiosità e la voglia di mettersi in gioco. Niente di molto lontano da quello che succede nella vita di tutti i giorni, vero? Comunque sicuramente avere un metodo ed educare i sensi.
– In questo periodo i giovani faticano a trovare un’occupazione. Consiglieresti questa professione a chi si accinge a entrare nel mondo del lavoro?
Assolutamente sì, perché la professione del sommelier ha molte sfaccettature e può sfociare in molte declinazioni. Puoi lavorare nelle aziende, nella comunicazione, nel giornalismo, ma soprattutto all’estero, come sommelier o buyer nella ristorazione.
– Nel tuo libro c’è un vino per ogni occasione: per brindare a questa nostra intervista cosa ci consiglieresti?
Visto che siamo in estate e visto che i rosati spesso sono un po’ messi da parte, mentre io invece li amo, scelgo un Bardolino Chiaretto e dico a tutti Cin-Cin e buone vacanze con un buon libro sotto l’ombrellone.